giovedì 31 marzo 2011

PAGANINI IN MAGLIA AZZURRA


Il signore che parla, inquadrato dalle telecamere in bianco e nero, è elegante, sebbene il vestito non sembri di sartoria.

Non è molto alto, il fisico sembra ancora ricordare che un tempo l’agilità non gli mancava.

Di fronte alla telecamera appare un po’ curvo.

Forse è colpa dell’inquadratura o forse degli anni che porta però con stile, con garbo.

I capelli bianchi, pettinati con cura all’indietro, mostrano alcune striature nere che denunciano come, in gioventù, fossero probabilmente corvini.

Ha occhi pungenti, un viso piccolo ed affilato al centro del quale c’è un naso regolare, ma importante.Parlando gesticola come tutti i latini, ma in maniera misurata.

Mentre parla, i movimenti della testa, delle mani, i mutamenti dell’espressione, sembrano illustrare il racconto.

“ ‘El indio’ Guaita lanciò la palla in area, forse Schiavio la deviò.Forse, ma non ne sono sicuro. Sicuramente però arrivò a me, sulla destra, fintai, evitando l’intervento di un terzino, e tirai al volo, con forza. La palla si infilò nell’angolo alla destra del portiere

Parla piano, in spagnolo, una voce femminile traduce le sue parole con leggero ritardo.Fa una pausa, poi riprende :

Era un grande portiere, sa, quello. Un grande portiere, ma quel tiro non riuscì a pararlo.”

Dopo queste ultime parole, sorride.

Così, trent’anni fa, ad una trasmissione che presentava i Mondiali che si sarebbero svolti di lì a poco in Germania, Raimundo Orsi, raccontava il suo gol che, pareggiando quello di Puc, aveva permesso all’Italia di disputare i supplementari contro la Cecoslovacchia nella finale della Coppa Rimet disputata a Roma nel 1934.

Quel “grande portiere” era Frantisek Planicka.

Nei supplementari sarebbe stato battuto anche da “Anzlein” Schiavio e l’Italia avrebbe trionfato.

“Al cospetto del Duce”, avrebbero raccontato le cronache dell’epoca.

Senza quel prodigio di “Mumo” Orsi, tuttavia, con ogni probabilità la storia sarebbe stata diversa.

Raimundo Orsi è nato nel 1901, ad Avellaneda, da padre italiano, quindi quando segna il gol più importante della sua carriera, ha quasi trentatré anni.

Una carriera eccezionale, non solo per l’epoca, una carriera che sta volgendo al termine.Facciamo un passo indietro, riavvolgiamo la memoria.

Il calcio della fine degli anni ’20 è dominato da Uruguay ed Argentina.

La massima manifestazione sono ancora le Olimpiadi, mentre si annuncia, fortemente voluta da un distinto signore francese, Jules Rimet, la prima edizione della Coppa del Mondo.

Raimundo, appena diciannovenne, esordisce nel club di Avellaneda, l’Independiente.

Non è molto alto, ma ben proporzionato.

Lo ricordo piccolo di statura e tuttavia longilineo, le sue gambe erano lunghe e per niente ipertrofiche” – scriverà, anni dopo, Gianni Brera.

Il giovane “Mumo”, così viene soprannominato dai compagni e dai tifosi, entusiasma.

Nel 1927 partecipa al Campionato Sulamericano con la Nazionale argentina , che trionfa.

Orsi non è titolare, gioca solo l’ultima partita e non disputa quella decisiva contro l’Uruguay, vinta per 3-2.

La classe di Orsi, tuttavia, si rivela al mondo nei Giochi Olimpici del 1928, ad Amsterdam.

Il calcio rioplatense è all’apice, la sfida è fra argentini, “portenhi”, e uruguagi, “orientales”.

Li divide geograficamente il Rio de La Plata e in campo calcistico una fiera rivalità, che spesso sfocia in eccessi feroci e l’Olimpiade europea è la vetrina adatta ad uno scontro ai massimi livelli, lontana dal clima arroventato del sudamerica e dai suoi condizionamenti ambientali.

La squadra argentina è, assieme all’Uruguay, la grande favorita del torneo.

In quel calcio, semplice ed ingenuo, ma ricco di tecnica e fantasia, i sudamericani si confermano molto avanti al resto del Mondo.

Uruguay e Argentina, in pratica, non hanno rivali.

Solo l’Italia di Vittorio Pozzo impegna gli uruguagi in semifinale, ma esce sconfitta.

Quando le due grandi rivali si presentano per disputare la finalissima ad Amsterdam, in campo ci sono tutte le stelle del firmamento mondiale.

Gli uruguagi schierano Pedro “Perucho” Petrone, Leandro Andrade, “el capitan” Nasazzi, Pedro Cea, ma devono fare a meno di Hector Scarone, una sorta di Pelè del primo dopoguerra.

L’Argentina, quindi, diventa automaticamente favorita, proprio in virtù della presenza nelle sue file, accanto a “Nolo” Ferreyra e “el Tigre” Monti, dell’imprendibile Raimundo Orsi che, per la sua velocità, è stato soprannominato “la Cometa di Amserdam”.

La prima finale si conclude con un nulla di fatto:1-1 dopo i tempi supplementari.

Centoventi minuti di autentica battaglia, non bastano a dirimere la questione.

La partita è durissima.

I feriti, alla fine, sono da entrambe le parti e le due formazioni si ritrovano decimate, tre giorni dopo, per la ripetizione.

L’Uruguay, tuttavia, può schierare nuovamente Hector Scarone che deciderà l’incontro.

Una partita ancora dura, scorretta e nervosa, con gli argentini che, favoriti, perdono la sfida più importante e gli uruguagi che si confermano campioni olimpici per la seconda volta.

Le polemiche incendiano l’ambiente argentino che parla di condotta intimidatoria da parte degli uruguagi.

In tribuna, alla partita, hanno assistito i dirigenti della Juventus che approfittano della delusione argentina per contattare Orsi.

Nessuno dei grandi calciatori sudamericani è mai approdato in Europa, se non per qualche tournée con la loro Nazionale o per i giochi Olimpici.

L’idea della società bianconera è quindi rivoluzionaria.

Orsi è indubbiamente una delle stelle più brillanti ammirate nel torneo e per convincerlo gli emissari juventini non badano a spese.

Non mi importa quanto lo pagate, portatemelo qua”- risponde Edoardo Agnelli al telegramma dei suoi emissari che lo avverte come “questo Orsi” sia “un po’ caro”.

La depressione in cui è caduta la comitiva argentina, la rabbia degli stessi giocatori, ma soprattutto la prospettiva di un burrascoso rientro in patria e la conseguente voglia di Orsi di cambiare aria, danno loro una mano.

La proposta è comunque allettante, considerati i tempi che corrono e la levatura, relativamente modesta, del neonato calcio professionistico italiano.

La Juve offre all’asso argentino un ingaggio di centomila lire, uno stipendio mensile di novemila, ed una Fiat 509 con “chauffeur” a sua disposizione ventiquattr’ore su ventiquattro.

E’ un contratto da nababbo per lo standard dell’epoca.

Orsi accetta e arriva in Italia sbarcando nel porto di Genova, in tempo per l’inizio del torneo italiano.

Si vedeva solo un cappello e un cappotto e quel viso da topo su un fisico che non prometteva gran che” racconterà anni dopo Vladimiro Caminiti.

In effetti nella società bianconera l’arrivo di questo ometto azzimato, con i capelli addomesticati dalla brillantina attorno ad una scriminatura curatissima e i vestiti di gran pregio, non suscita troppo entusiasmo.

I documenti del trasferimento, oltretutto, tardano ad arrivare e così Raimundo Orsi deve stare fermo un anno, limitandosi a seguire gli allenamenti e ad acclimatarsi al clima italiano.

La dirigenza della Juventus, già all’epoca attenta amministratrice, comincia a pensare di aver buttato via un sacco di soldi, un pensiero insopportabile per dei piemontesi tutti di un pezzo.

Oltretutto Raimundo Orsi diventa il re della vita notturna torinese.

Suona il violino da virtuoso, le sue notti si riempiono di tango e la gente impara a riconoscerlo quando passeggia sotto i portici del centro.

Ma quando si allena mostra di cosa sia capace con la palla al piede.

I tifosi si assiepano sulle tribune durante gli allenamenti, tanto che la Juventus decide di far pagare il biglietto e, con gli incassi-extra che procura, Orsi contribuisce a pagarsi il lauto stipendio.

Un anno passa presto, e l’anno successivo Orsi è ai nastri di partenza per dissipare subito i dubbi degli austeri datori di lavoro.

Il suo primo torneo è scintillante: gioca tutte le partite segnando quindici reti.

La Juventus diventa Campione d’Italia per la terza volta ed inaugura un ciclo irripetibile che passerà alla storia come “il quinquennio” : cinque scudetti di fila.

Nello stesso autunno del ’29 Vittorio Pozzo, sfruttando il doppio passaporto di Orsi, lo convoca in Nazionale.

Subito Raimundo mostra la sua classe e diventa inamovibile anche in azzurro.

Il suo modo di giocare è inimitabile e soprattutto innovativo per l’epoca.

Gioca da ala sinistra, ma il suo piede migliore è il destro.

Questa caratteristica lo porta a poter crossare in corsa col sinistro e a concludere a rete, convergendo verso l’area, col destro in quel movimento che il calcio rioplatense ha battezzato “diagonal” e che in Italia ed in Europa è pressochè sconosciuto.

Orsi è velocissimo, imprendibile, i suoi cambi di marcia, specie sui terreni asciutti, sono micidiali.

La leggenda vuole che corra i cento metri in 11” netti, con la palla al piede.

Quasi certamente è impossibile, ma il fatto che si arrivi a certe esagerazioni è indice della considerazione in cui è tenuto.

La sua tecnica individuale è eccezionale per l’epoca e nessuno la può descrivere meglio del solito, inimitabile, Gianni Brera, che scriverà:

Apparve alla rozza ribalta italiana con movenze agili ed eleganti da cerbiatto. Sapeva arrestare palla levando il piede e ricevendo sul collo, come nessuno tentava, allora, da queste umili parti. Scattava rapido a dettare il lancio e dribblava in corsa con mosse ogni volta nuove, decise ed essenziali.”.

Le sue doti balistiche, poi, impressionano addirittura.

Batteva gli angoli da sinistra con il destro, imprimendo alla palla effetti sinistrorsi che spesso ingannavano i portieri” racconta ancora Brera.

Non partecipa alla prima edizione dei Mondiali in Uruguay perché ha già optato per la nazionale azzurra, ma i maligni diranno che il “Comisario Técnico” argentino lo lasci volentieri a casa in quanto il clima di battaglia sembra non gli si addica.

Intanto “Mumo”, raggiunto alla Juve dai connazionali Monti e Cesarini, furoreggia.

Non rinuncia al “tabarin”, ma in campo è irresistibile.

Venti gol nel suo secondo campionato, venti anche nel terzo.

Scudetti, trionfi con la maglia della sua nuova patria.

Dovunque scenda in campo, Orsi suscita incondizionata ammirazione.

Hugo Meisl, il CT austriaco che negli anni trenta ha costruito il “Wunderteam”, la squadra delle meraviglie, lo definisce “Il Paganini del Football”.

Lui, altero come un sovrano, passeggia a Torino con cappello e bastone, ha il conto aperto nelle migliori sartorie, il suo “chauffeur” non tiene il conto delle signore che frequenta.

Vive la vita che ha sempre sognato, Mumo Orsi.

Il presidente della Juventus è il giovane Edoardo Agnelli, figlio del senatore Giovanni, il fondatore della Fiat.

Edoardo è un appassionato di calcio, ma, soprattutto, un ammiratore di Orsi e assiste spesso alle partite col figlio maggiore, Gianni, che una volta ricorderà in TV :

Mio padre era tifoso della Juve, come lo sono io.

Ma soprattutto mio padre ammirava Raimundo Orsi.

Lo ammirava per la sua classe, per il suo stile. Gli perdonava tutto. Una volta, contro il Palermo mi pare, Orsi era svogliato. Gli capitava spesso, in particolare quando la Juventus vinceva largamente, come quel pomeriggio. Oltretutto un terzino rosanero lo infastidiva, gli stava attaccato, lo picchiava. Ad un certo punto Orsi gli si rivolge dicendo:“Quanto guadagni ?”Il terzino, sorpreso, gli risponde: “Seicento lire”. Al ché Orsi, che ne guadagnava novemila più i premi, ribatte:“Te le do io, ma ora non mi scocciare !”

Quando un dirigente bianconero, Mazzonis mi pare che si chiamasse, un piemontese tutto d’un pezzo, venne a saperlo voleva punirlo, ma mio padre ci fece una gran risata su. Non so se con un altro avrebbe fatto lo stesso.”

Intanto la Juventus vince il suo quarto scudetto e “Mumo” Orsi, a trentatré anni suonati, disputa il suo primo ed unico Mondiale.

Non è il solo “oriundo”.

Assieme a lui ci sono Demaria, che ha giocato nel ’30 per l’Argentina, Guaita, asso della Roma, ed il compagno di squadra Monti.

E’ una squadra forte e compatta, cementata da Vittorio Pozzo attorno al blocco bianconero.

Orsi è il tocco in più, l’uomo dalla classe più pura.

L’unico compagno che ritiene davvero alla sua altezza è Meazza.

La squadra azzurra supera, via, via, gli Stati Uniti, la Spagna, dopo due autentiche battaglie a Firenze, e, in semifinale, l’Austria. Orsi è sempre presente ed è con il suo gol più famoso che, in finale, l’Italia acciuffa la Cecoslovacchia quando ormai tutte le speranze sembrano sfumate.Quando la vittoria dei ceki sembra inevitabile.

Non ci sono filmati di quel gol, ma di tutti i racconti che ho letto e sentito, il meno mirabolante è quello dello stesso Orsi.

Dopo il Mondiale, la situazione politica si complica. In Europa cominciano a soffiare minacciosi venti di guerra Orsi va per i trentaquattro anni. E’ ricco ed ha nostalgia della sua terra e della sua musica. Anni dopo confesserà, forse pentito, di aver temuto una “comociòn politica”, una rivoluzione. Dopo un’ultima partita contro l’Ambrosiana di Meazza, l’unico degno di raccoglierne l’eredità, si imbarca dal porto di Genova per l’Argentina.

Farà in tempo a regalare ancora qualche magìa ed, addirittura, a vestire per l’ultima volta la maglia della seleccion. Ma non se la passa bene.”Al suo rientro in patria”- è ancora Gianni Brera che racconta- “ non ebbe molta fortuna. Come giocatore era vecchio e come tecnico non aveva studiato abbastanza il calcio italiano, che in effetti imitava l' uruguaiano ma lui, argentino, non avrebbe mai potuto ammetterlo. Io lo ricordo avvilito e malmesso a un raduno di oriundi e uruguagi in occasione d' un Independiente-Inter a Baires. Allenava a Cordova e il mio giornale dovette pagargli il viaggio in aereo. Lui e il vecchio Peppe Meazza si abbracciarono molto affettuosamente e forse avrebbero pianto, di commozione o di stizza, se tanta gente meno celebre ma più fortunata di loro non li avesse infastiditi con la propria petulanza. Secondo Meazza, che non era molto tenero nei confronti dei suoi colleghi, mai al mondo si era vista ed ammirata un' ala sinistra della classe di Raimundo (Mumo) Orsi.”

E Peppino Meazza, forse, non esagerava.


Tratto da © www.postadelgufo.it by Francesco Parigi

mercoledì 30 marzo 2011

UCRAINA - ITALIA 0-2




ROMA - JUVE: CHIELLINI OUT

Giorgio Chiellini "sarà sottoposto domani agli esami specialistici necessari per valutare le sue condizioni". La Juventus lo annuncia in una nota sul suo sito Internet.

Il difensore è uscito dal campo, dolorante, dopo 17 minuti durante l'amichevole Ucraina-Italia di ieri sera: contrattura al retto anteriore della coscia destra.

Il centrale bianconero quasi certamente non giocherà Roma-Juve di domenica sera.

JUVE: NON BASTO(S)


L'Editoriale di Mercato di Luciano Moggi

"Siamo alle solite. A parte il consueto esercizio degli organi mediatici, che alla prima pausa del campionato iniziano a martellare, peraltro giustamente, sulle tematiche inerenti al mercato; la Juventus recita la parte della protagonista indiscussa. Giocatori su giocatori associati alla compagine bianconera, tutti in vista di un futuro che sembra preannunciarsi assai più radioso del presente grigio. Una scena già vissuta, ma che sembra allietare gli animi degli addetti ai lavori, al punto da bollare come positivi, dei colpi presunti che almeno a mio parere dovrebbero essere presi con le pinze.

In primis, Michel Bastos.

Se ne parla come un fenomeno, 20 milioni di euro di investimento per un terzino sinistro che non sa difendere e che denota ancora tante, forse troppe, lacune a livello tattico.

Non ci siamo, non è questo il modo di agire se l'obiettivo è quello di costruire una squadra che possa avere un senso.

La storia stessa della mia carriera, racconta la mia idea sui giocatori sudamericani: un punto di vista magari poco condivisibile, ma che nella mia esperienza ha pagato con i risultati.

Ebbene, se anche si volesse fare un investimento su quel fronte, credo di dar voce al pensiero di molti tifosi affermando che questo Bastos non offre una contropartita tecnica per cui ne possa valere la pena.

La Juventus allo stato attuale delle cose ha almeno 15 giocatori di cui si deve disfare per costruire una squadra di un certo livello.

Aggiungerne uno certamente migliore, ma che non intacca minimamente gli equilibri di forza rispetto alle avversarie, per giunta spendendo quasi 20 milioni, mi sembra un'operazione da evitare.

Guardate la squadra attuale: Buffon e Chiellini stessi sembrano spaesati nel marasma difensivo che si trovano ad affrontare ogni settimana.

Da qui nascono errori come quello del portiere nell'ultima partita, piuttosto che le indecisioni del difensore. Giungendo ad un altro mercato interessante, possiamo fare riferimento al ribaltone delle panchine che investirà il nostro campionato a partire dalla prossima stagione. Al di là della Juventus, in cui il destino di Delneri sembra ormai segnato; è la Sampdoria una delle società più attive, al punto da aver quasi perfezionato un ribaltone sia a livello tecnico che societario. Il ruolo di direttore sportivo sarà assunto da Walter Sabatini, che con tutta probabilità si porterà dietro Delio Rossi.

Il Palermo, dal canto suo, potrebbe puntare forte su Gasperini, mentre non escludo che alla Roma possa finire Carlo Ancelotti. Sarebbe un gran colpo, Carlo è sicuramente uno dei migliori allenatori con cui ho avuto modo di lavorare, checchè se ne dica.

Un altro tecnico che meriterebbe un'opportunità in Italia è Mancini.

L'ex mister dell'Inter sta affrontando un'esperienza incredibile OltreManica, in un ambiente in cui sei sostanzialmente solo, condizione ideale perchè ci sia una crescita sostanziale sia a livello di sopportazione delle pressioni, sia per quanto riguarda la tempra necessaria per guidare una grande. La Juve potrebbe pensare a lui, anche se ritengo che i bianconeri stiano valutando le possibilità di arrivare a Spalletti.

Altro argomento di importanza fondamentale in vista della prossima settimana e di quelle che verranno, è la corsa scudetto. Nonostante il mio pronostico ribadito a più riprese nel corso di questa stagione, credo che alla fine l'Inter possa spuntarla di nuovo.

Il Milan senza Ibrahimovic è un'altra squadra, pallida copia di quella che ha fin qui condotto la classifica. Affrontare un'Inter in crescita senza il proprio campione di maggior spessore non è certamente un buon viatico per dare la svolta ad un momento negativo. Attenzione però, perché il discorso potrebbe non fermarsi alle milanesi.

Non ne parlo perché spinto dall'opinione pubblica, che vede il Napoli come terzo incomodo vista la situazione in classifica. Al contrario, io sono convinto che i partenopei non vinceranno questo campionato, tuttavia ho visto negli occhi di Lavezzi una rabbia, una fame, che raramente ho potuto constatare nello sguardo di qualsivoglia giocatore. Il Napoli vuole addentare la preda, e spesso questo aspetto è quello che conta più di tutti gli altri"

(tratto da Tuttomercatoweb.com).

venerdì 25 marzo 2011

DEL PIERO E LA SUA LINGUACCIA

"Roma-Juventus è sempre una partita speciale.
Per la tradizione, per il momento che stiamo vivendo noi, ma anche per quello che stanno vivendo i giallorossi".

Ospite di "Filo Diretto" su Juventus Channel, Alessandro Del Piero illustra i contenuti della sfida: "Servirà una Juve ambiziosa e umile. Se saremo lucidi e metteremo in campo le nostre qualità, non sbaglieremo".

Intervistato dai tifosi juventini intervenuti telefonicamente, il capitano bianconero fornisce un breve ma significativo excursus della sua vita da juventino mondiale: "Come nasce l'esultanza con la linguaccia? Non so, è un gesto spontaneo uscito dopo il mio gol del 2-1 in casa dell'Inter (12 febbraio 2006).

Da allora, mi viene automatica.

Quali sono stati i miei magic moments in bianconero? Il primo scudetto, la Coppa dei Campioni, l'Intercontinentale, il tricolore del 5 maggio e la vittoria sul Brescia di domenica scorsa".

martedì 22 marzo 2011


lunedì 21 marzo 2011

SOLTANTO ALEX


Gol capolavoro e cuore da Juve. Soltanto lui ricorda come si fa.

Lui era a Tokyo nel 1996 e segnò il gol che rese la Juve campione del mondo.

Questi altri che gli corrono intorno non avrebbero mai messo il naso in quella squadra, al massimo ne sarebbero stati gli sparring partner, non tutti ma sicuramente la maggioranza. Alessandro Del Piero ha fatto vedere contro il Brescia la differenza che esiste tra chi ha imparato e giocato nella Juve che voleva dominare il mondo e la cosa modesta, a tratti povera, che si trascina da due anni a questa parte, nonostante tutti i cambiamenti possibili.

Ascoltare quel po' di pubblico resistente esultare al fischio finale per il 2-1 contro la penultima del campionato, ridotta in dieci per 20 minuti, ha misurato la dimensione cui si è abituata la Juve. Bisogna accontentarsi è diventata la filosofia.

Del Piero non si accontenta.

Non è stato soltanto il suo gol, bellissimo e decisivo, a scatenare l'ovazione che l'ha accompagnato all'uscita anche se molti non hanno capito che Del Neri lo sostituiva con Martinez per questo.

È stata l'intensità di un match assoluto, in cui Alex si è scrollato dalle spalle dieci anni e ha sbagliato solo due palloni in 87', ha rincorso e difeso, ha dato a Krasic in un corridoio strettissimo l'assist per il 3-1 e il serbo lo ha sprecato. Si può non essere fuoriclasse ma si deve trovare dentro di sé la forza per giocare come se lo si fosse, quando si è in una grande squadra. La prestazione di Del Piero è stata un gesto didattico: vedete come si deve fare?

Il gol lo ha sublimato: incursione profonda, dribbling su un uomo, scarto su un altro, controllo, cambio di piede, tiro secco e preciso che ha basito Accardi, paratoglisi davanti, e il portiere.

Uno schema preparato alla lavagna con Del Neri, che a fine partita ha definito Del Piero un campione ritrovato e adesso deve ritrovarsi lui perché non è certamente questo l'allenatore che conoscevamo e che fino a Natale ha gestito bene la Juve.

Se il tecnico friulano è davvero convinto che questi siano miglioramenti vuol dire che ha confuso il posto di lavoro.

È beffardo ricordargli che l'1-1 dell'andata a Brescia veniva considerato un intoppo sulla strada verso lo scudetto mentre questa vittoria tiene i bianconeri a 9 punti dalla Champions League?

Il successo è giunto faticosamente. Nel primo tempo il Brescia si è mosso come se fosse la Juve, tenendo maggiormente sotto controllo il gioco e con più qualità negli scambi: se Diamanti avesse trovato anche la voglia di giocare e non solo di ballare durante l'esecuzione dell'inno di Mameli la squadra di Iachini avrebbe fatto danni.

La Juve lavorava di rimessa.

È già abbastanza per capire che qualcosa non funziona più, con Aquilani inceppato, Krasic che fa sempre lo stesso numero, i terzini che per piazzare un cross devono aspettare dal cielo una mano che guidi la traiettoria.

La rete dell'1-0, un bel tiro al volo di Krasic su tocco di Matri, è stata favorita da un errore di rilancio di Cordova più che da una trama.

Come a Cesena, il vantaggio era gestito male: tranne un traversone basso di Sorensen non c'era traccia di pericolosità mentre Eder metteva in apprensione la difesa.

Chiellini aveva avviato la partita disastrosa con un'incomprensibile incertezza che lo costringeva ad abbattere il rapido brasiliano appena fuori area: proseguiva la prestazione al 42' lasciando al piccoletto lo spazio per battere di testa Buffon, incerto sul cross di Voss, come in precedenza quando aveva perso la palla in un'uscita.

Nella ripresa c'era almeno un'idea di pressione, la volontà della Juve di impugnare il gioco. Il Brescia tornava se stesso.

Si accartocciava per lanciare il contropiede e dava aria all'azione.

Krasic divorava il gol su lancio di Pepe come avrebbe poi fatto con l'assist di Del Piero: davanti alla porta il serbo ci ricorda l'austriaco Schachner che correva fortissimo e spesso si inceppava nel tiro.

Non erano grandi manovre, soprattutto non c'era un cross che finisse al posto giusto e non su una capoccia bresciana.

Doveva pensarci Del Piero con l'assolo a fissare il raddoppio che metteva in discesa la vittoria anche perché la seconda ammonizione di Mareco al 25' complicava il compito dei bresciani.

Ma quando Del Piero non ci sarà più?

(di Marco Ansaldo - Tratto da La Stampa)

venerdì 18 marzo 2011

ADIOS PIAZON


La Juventus perde un altro obiettivo di mercato, il baby fenomeno Lucas Piazon.
Il talento carioca ha raggiunto un accordo con il Chelsea: il club di Abramovich avrebbe pagato, per il trasferimento, 7 milioni di Euro al San Paolo, offrendo al giocatore un ingaggio da 1 milione di euro a stagione.
Soltanto qualche giorno addietro l'agente Fifa Sabatino Durante aveva parlato di affare già concluso con i bianconeri, per la cifra di 6,5 milioni...

BUFFON: RESTO QUI

"Sono e resterò alla Juventus".
"Di un mio trasferimento alla Roma se ne parlò dieci anni fa, ormai è tardi.
Penso solo alla Juve".
In un'intervista rilasciata al quotidiano 'La Stampa' il portiere parla, anche, della stagione fallimentare dei bianconeri: "Ci hanno penalizzato i troppi, e continui, infortuni di chi era arrivato in estate per farci fare il salto di qualità. L'importante, adesso, è non lasciarsi andare perché mancano ancora nove partite da qui alla fine".
"Dobbiamo convincerci di poter tornare quelli di una volta, ovvero pensare in grande.
La Juve deve essere una squadra da primo e da primi posti, questo dobbiamo mettercelo in testa.
Servirà un pieno di autostima da parte di tutti. Dobbiamo credere in noi stessi.
Siamo la Juve, siamo un grande club".

PANCHINA JUVE: ...VIALLI A VEDERE....

"La Juventus non mi ha mai contattato e onestamente spero che continui con Del Neri fino alla fine della stagione per dare un senso di continuità - le sue parole a 'Radio Monte Carlo' .
Non credo sia una cosa giusta cambiare allenatore perchè credo che non cambierebbero molto le cose adesso. Io credo sia giusto andare avanti fino alla fine e poi fare il punto per vedere cosa si può fare per migliorare questa squadra in vista della prossima stagione".

MERCATO JUVENTUS


"Non mi aspettavo si facesse peggio dell'anno scorso".
E' il commento di Pierpaolo Marino, ex dg del Napoli e, oggi, esperto operatore di mercato sulla Juventus.

Nel corso di un'intervista a 'Tuttosport', l'ex dirigente partenopeo ha commentato così il momento attuale dei bianconeri: "Al momento sono un “osser­vatore esterno” e ho il dovere di dare giudizi, opinioni oneste senza farmi condizionare da amicizie o esperienze passate.

Ho detto quello che penso e che, peraltro, in parte dissi già a suo tempo.

Appena finita la sessione estiva del calciomer­cato: non vedevo una Juventus con un organico da vertici e mi sbilanciai.

Però ammetto che neppure io mi aspettavo che si facesse peggio dell’anno scor­so".

"Mi meraviglio che Del Piero sia sottoposto a questo stillici­dio per il rinnovo e non ne ho capito il motivo. Pensavo ci fos­sero problemi di durata o di in­gaggio, ma quando ho saputo che il giocatore avrebbe firma­to in bianco...

Credo che Del Piero sia fondamentale e fac­cia far punti anche come non giocatore, paradossalmente, già solo per la sua presenza nello spogliatoio.

Senza consi­derare, poi, che è nelle condi­zioni di giocare, eccome, anco­ra per un bel po'".




martedì 8 marzo 2011

IERI, MOGGI....DOMANI



“Tornare alla Juve? Prima pensiamo al processo, poi vedremo”.

Per la classica di sabato sera, contro il Milan, IL DIRIGENTE dei record era atteso sulle tribune dell'Olimpico di Torino.

Tuttavia, nessuno è riuscito a scorgere il suo volto tra gli spettatori.

L'assenza è così giustificata dalle parole dello stesso capo della Triade:

“Voglio ringraziare le curve juventine per avermi invocato. Io voglio bene alla Juve e ho una profonda amicizia con Andrea; questi sono stati due motivi per disertare Juve-Milan. I tifosi avrebbero pensato ad applaudire me invece di incitare la squadra in un momento difficile: non mi sembrava bello.

Per tornare allo stadio, aspetterò che si vinca qualche partita”.

Quindi Moggi potrebbe tornare presto a Torino? “Certo, non ho alcun problema a tornarci”.

Sul possibile ritorno in bianconero di Vialli, invece, Lucianone non si sbilancia: “Queste domande non potete farle a me. C’è una dirigenza preposta a decidere”.