giovedì 31 marzo 2011

PAGANINI IN MAGLIA AZZURRA


Il signore che parla, inquadrato dalle telecamere in bianco e nero, è elegante, sebbene il vestito non sembri di sartoria.

Non è molto alto, il fisico sembra ancora ricordare che un tempo l’agilità non gli mancava.

Di fronte alla telecamera appare un po’ curvo.

Forse è colpa dell’inquadratura o forse degli anni che porta però con stile, con garbo.

I capelli bianchi, pettinati con cura all’indietro, mostrano alcune striature nere che denunciano come, in gioventù, fossero probabilmente corvini.

Ha occhi pungenti, un viso piccolo ed affilato al centro del quale c’è un naso regolare, ma importante.Parlando gesticola come tutti i latini, ma in maniera misurata.

Mentre parla, i movimenti della testa, delle mani, i mutamenti dell’espressione, sembrano illustrare il racconto.

“ ‘El indio’ Guaita lanciò la palla in area, forse Schiavio la deviò.Forse, ma non ne sono sicuro. Sicuramente però arrivò a me, sulla destra, fintai, evitando l’intervento di un terzino, e tirai al volo, con forza. La palla si infilò nell’angolo alla destra del portiere

Parla piano, in spagnolo, una voce femminile traduce le sue parole con leggero ritardo.Fa una pausa, poi riprende :

Era un grande portiere, sa, quello. Un grande portiere, ma quel tiro non riuscì a pararlo.”

Dopo queste ultime parole, sorride.

Così, trent’anni fa, ad una trasmissione che presentava i Mondiali che si sarebbero svolti di lì a poco in Germania, Raimundo Orsi, raccontava il suo gol che, pareggiando quello di Puc, aveva permesso all’Italia di disputare i supplementari contro la Cecoslovacchia nella finale della Coppa Rimet disputata a Roma nel 1934.

Quel “grande portiere” era Frantisek Planicka.

Nei supplementari sarebbe stato battuto anche da “Anzlein” Schiavio e l’Italia avrebbe trionfato.

“Al cospetto del Duce”, avrebbero raccontato le cronache dell’epoca.

Senza quel prodigio di “Mumo” Orsi, tuttavia, con ogni probabilità la storia sarebbe stata diversa.

Raimundo Orsi è nato nel 1901, ad Avellaneda, da padre italiano, quindi quando segna il gol più importante della sua carriera, ha quasi trentatré anni.

Una carriera eccezionale, non solo per l’epoca, una carriera che sta volgendo al termine.Facciamo un passo indietro, riavvolgiamo la memoria.

Il calcio della fine degli anni ’20 è dominato da Uruguay ed Argentina.

La massima manifestazione sono ancora le Olimpiadi, mentre si annuncia, fortemente voluta da un distinto signore francese, Jules Rimet, la prima edizione della Coppa del Mondo.

Raimundo, appena diciannovenne, esordisce nel club di Avellaneda, l’Independiente.

Non è molto alto, ma ben proporzionato.

Lo ricordo piccolo di statura e tuttavia longilineo, le sue gambe erano lunghe e per niente ipertrofiche” – scriverà, anni dopo, Gianni Brera.

Il giovane “Mumo”, così viene soprannominato dai compagni e dai tifosi, entusiasma.

Nel 1927 partecipa al Campionato Sulamericano con la Nazionale argentina , che trionfa.

Orsi non è titolare, gioca solo l’ultima partita e non disputa quella decisiva contro l’Uruguay, vinta per 3-2.

La classe di Orsi, tuttavia, si rivela al mondo nei Giochi Olimpici del 1928, ad Amsterdam.

Il calcio rioplatense è all’apice, la sfida è fra argentini, “portenhi”, e uruguagi, “orientales”.

Li divide geograficamente il Rio de La Plata e in campo calcistico una fiera rivalità, che spesso sfocia in eccessi feroci e l’Olimpiade europea è la vetrina adatta ad uno scontro ai massimi livelli, lontana dal clima arroventato del sudamerica e dai suoi condizionamenti ambientali.

La squadra argentina è, assieme all’Uruguay, la grande favorita del torneo.

In quel calcio, semplice ed ingenuo, ma ricco di tecnica e fantasia, i sudamericani si confermano molto avanti al resto del Mondo.

Uruguay e Argentina, in pratica, non hanno rivali.

Solo l’Italia di Vittorio Pozzo impegna gli uruguagi in semifinale, ma esce sconfitta.

Quando le due grandi rivali si presentano per disputare la finalissima ad Amsterdam, in campo ci sono tutte le stelle del firmamento mondiale.

Gli uruguagi schierano Pedro “Perucho” Petrone, Leandro Andrade, “el capitan” Nasazzi, Pedro Cea, ma devono fare a meno di Hector Scarone, una sorta di Pelè del primo dopoguerra.

L’Argentina, quindi, diventa automaticamente favorita, proprio in virtù della presenza nelle sue file, accanto a “Nolo” Ferreyra e “el Tigre” Monti, dell’imprendibile Raimundo Orsi che, per la sua velocità, è stato soprannominato “la Cometa di Amserdam”.

La prima finale si conclude con un nulla di fatto:1-1 dopo i tempi supplementari.

Centoventi minuti di autentica battaglia, non bastano a dirimere la questione.

La partita è durissima.

I feriti, alla fine, sono da entrambe le parti e le due formazioni si ritrovano decimate, tre giorni dopo, per la ripetizione.

L’Uruguay, tuttavia, può schierare nuovamente Hector Scarone che deciderà l’incontro.

Una partita ancora dura, scorretta e nervosa, con gli argentini che, favoriti, perdono la sfida più importante e gli uruguagi che si confermano campioni olimpici per la seconda volta.

Le polemiche incendiano l’ambiente argentino che parla di condotta intimidatoria da parte degli uruguagi.

In tribuna, alla partita, hanno assistito i dirigenti della Juventus che approfittano della delusione argentina per contattare Orsi.

Nessuno dei grandi calciatori sudamericani è mai approdato in Europa, se non per qualche tournée con la loro Nazionale o per i giochi Olimpici.

L’idea della società bianconera è quindi rivoluzionaria.

Orsi è indubbiamente una delle stelle più brillanti ammirate nel torneo e per convincerlo gli emissari juventini non badano a spese.

Non mi importa quanto lo pagate, portatemelo qua”- risponde Edoardo Agnelli al telegramma dei suoi emissari che lo avverte come “questo Orsi” sia “un po’ caro”.

La depressione in cui è caduta la comitiva argentina, la rabbia degli stessi giocatori, ma soprattutto la prospettiva di un burrascoso rientro in patria e la conseguente voglia di Orsi di cambiare aria, danno loro una mano.

La proposta è comunque allettante, considerati i tempi che corrono e la levatura, relativamente modesta, del neonato calcio professionistico italiano.

La Juve offre all’asso argentino un ingaggio di centomila lire, uno stipendio mensile di novemila, ed una Fiat 509 con “chauffeur” a sua disposizione ventiquattr’ore su ventiquattro.

E’ un contratto da nababbo per lo standard dell’epoca.

Orsi accetta e arriva in Italia sbarcando nel porto di Genova, in tempo per l’inizio del torneo italiano.

Si vedeva solo un cappello e un cappotto e quel viso da topo su un fisico che non prometteva gran che” racconterà anni dopo Vladimiro Caminiti.

In effetti nella società bianconera l’arrivo di questo ometto azzimato, con i capelli addomesticati dalla brillantina attorno ad una scriminatura curatissima e i vestiti di gran pregio, non suscita troppo entusiasmo.

I documenti del trasferimento, oltretutto, tardano ad arrivare e così Raimundo Orsi deve stare fermo un anno, limitandosi a seguire gli allenamenti e ad acclimatarsi al clima italiano.

La dirigenza della Juventus, già all’epoca attenta amministratrice, comincia a pensare di aver buttato via un sacco di soldi, un pensiero insopportabile per dei piemontesi tutti di un pezzo.

Oltretutto Raimundo Orsi diventa il re della vita notturna torinese.

Suona il violino da virtuoso, le sue notti si riempiono di tango e la gente impara a riconoscerlo quando passeggia sotto i portici del centro.

Ma quando si allena mostra di cosa sia capace con la palla al piede.

I tifosi si assiepano sulle tribune durante gli allenamenti, tanto che la Juventus decide di far pagare il biglietto e, con gli incassi-extra che procura, Orsi contribuisce a pagarsi il lauto stipendio.

Un anno passa presto, e l’anno successivo Orsi è ai nastri di partenza per dissipare subito i dubbi degli austeri datori di lavoro.

Il suo primo torneo è scintillante: gioca tutte le partite segnando quindici reti.

La Juventus diventa Campione d’Italia per la terza volta ed inaugura un ciclo irripetibile che passerà alla storia come “il quinquennio” : cinque scudetti di fila.

Nello stesso autunno del ’29 Vittorio Pozzo, sfruttando il doppio passaporto di Orsi, lo convoca in Nazionale.

Subito Raimundo mostra la sua classe e diventa inamovibile anche in azzurro.

Il suo modo di giocare è inimitabile e soprattutto innovativo per l’epoca.

Gioca da ala sinistra, ma il suo piede migliore è il destro.

Questa caratteristica lo porta a poter crossare in corsa col sinistro e a concludere a rete, convergendo verso l’area, col destro in quel movimento che il calcio rioplatense ha battezzato “diagonal” e che in Italia ed in Europa è pressochè sconosciuto.

Orsi è velocissimo, imprendibile, i suoi cambi di marcia, specie sui terreni asciutti, sono micidiali.

La leggenda vuole che corra i cento metri in 11” netti, con la palla al piede.

Quasi certamente è impossibile, ma il fatto che si arrivi a certe esagerazioni è indice della considerazione in cui è tenuto.

La sua tecnica individuale è eccezionale per l’epoca e nessuno la può descrivere meglio del solito, inimitabile, Gianni Brera, che scriverà:

Apparve alla rozza ribalta italiana con movenze agili ed eleganti da cerbiatto. Sapeva arrestare palla levando il piede e ricevendo sul collo, come nessuno tentava, allora, da queste umili parti. Scattava rapido a dettare il lancio e dribblava in corsa con mosse ogni volta nuove, decise ed essenziali.”.

Le sue doti balistiche, poi, impressionano addirittura.

Batteva gli angoli da sinistra con il destro, imprimendo alla palla effetti sinistrorsi che spesso ingannavano i portieri” racconta ancora Brera.

Non partecipa alla prima edizione dei Mondiali in Uruguay perché ha già optato per la nazionale azzurra, ma i maligni diranno che il “Comisario Técnico” argentino lo lasci volentieri a casa in quanto il clima di battaglia sembra non gli si addica.

Intanto “Mumo”, raggiunto alla Juve dai connazionali Monti e Cesarini, furoreggia.

Non rinuncia al “tabarin”, ma in campo è irresistibile.

Venti gol nel suo secondo campionato, venti anche nel terzo.

Scudetti, trionfi con la maglia della sua nuova patria.

Dovunque scenda in campo, Orsi suscita incondizionata ammirazione.

Hugo Meisl, il CT austriaco che negli anni trenta ha costruito il “Wunderteam”, la squadra delle meraviglie, lo definisce “Il Paganini del Football”.

Lui, altero come un sovrano, passeggia a Torino con cappello e bastone, ha il conto aperto nelle migliori sartorie, il suo “chauffeur” non tiene il conto delle signore che frequenta.

Vive la vita che ha sempre sognato, Mumo Orsi.

Il presidente della Juventus è il giovane Edoardo Agnelli, figlio del senatore Giovanni, il fondatore della Fiat.

Edoardo è un appassionato di calcio, ma, soprattutto, un ammiratore di Orsi e assiste spesso alle partite col figlio maggiore, Gianni, che una volta ricorderà in TV :

Mio padre era tifoso della Juve, come lo sono io.

Ma soprattutto mio padre ammirava Raimundo Orsi.

Lo ammirava per la sua classe, per il suo stile. Gli perdonava tutto. Una volta, contro il Palermo mi pare, Orsi era svogliato. Gli capitava spesso, in particolare quando la Juventus vinceva largamente, come quel pomeriggio. Oltretutto un terzino rosanero lo infastidiva, gli stava attaccato, lo picchiava. Ad un certo punto Orsi gli si rivolge dicendo:“Quanto guadagni ?”Il terzino, sorpreso, gli risponde: “Seicento lire”. Al ché Orsi, che ne guadagnava novemila più i premi, ribatte:“Te le do io, ma ora non mi scocciare !”

Quando un dirigente bianconero, Mazzonis mi pare che si chiamasse, un piemontese tutto d’un pezzo, venne a saperlo voleva punirlo, ma mio padre ci fece una gran risata su. Non so se con un altro avrebbe fatto lo stesso.”

Intanto la Juventus vince il suo quarto scudetto e “Mumo” Orsi, a trentatré anni suonati, disputa il suo primo ed unico Mondiale.

Non è il solo “oriundo”.

Assieme a lui ci sono Demaria, che ha giocato nel ’30 per l’Argentina, Guaita, asso della Roma, ed il compagno di squadra Monti.

E’ una squadra forte e compatta, cementata da Vittorio Pozzo attorno al blocco bianconero.

Orsi è il tocco in più, l’uomo dalla classe più pura.

L’unico compagno che ritiene davvero alla sua altezza è Meazza.

La squadra azzurra supera, via, via, gli Stati Uniti, la Spagna, dopo due autentiche battaglie a Firenze, e, in semifinale, l’Austria. Orsi è sempre presente ed è con il suo gol più famoso che, in finale, l’Italia acciuffa la Cecoslovacchia quando ormai tutte le speranze sembrano sfumate.Quando la vittoria dei ceki sembra inevitabile.

Non ci sono filmati di quel gol, ma di tutti i racconti che ho letto e sentito, il meno mirabolante è quello dello stesso Orsi.

Dopo il Mondiale, la situazione politica si complica. In Europa cominciano a soffiare minacciosi venti di guerra Orsi va per i trentaquattro anni. E’ ricco ed ha nostalgia della sua terra e della sua musica. Anni dopo confesserà, forse pentito, di aver temuto una “comociòn politica”, una rivoluzione. Dopo un’ultima partita contro l’Ambrosiana di Meazza, l’unico degno di raccoglierne l’eredità, si imbarca dal porto di Genova per l’Argentina.

Farà in tempo a regalare ancora qualche magìa ed, addirittura, a vestire per l’ultima volta la maglia della seleccion. Ma non se la passa bene.”Al suo rientro in patria”- è ancora Gianni Brera che racconta- “ non ebbe molta fortuna. Come giocatore era vecchio e come tecnico non aveva studiato abbastanza il calcio italiano, che in effetti imitava l' uruguaiano ma lui, argentino, non avrebbe mai potuto ammetterlo. Io lo ricordo avvilito e malmesso a un raduno di oriundi e uruguagi in occasione d' un Independiente-Inter a Baires. Allenava a Cordova e il mio giornale dovette pagargli il viaggio in aereo. Lui e il vecchio Peppe Meazza si abbracciarono molto affettuosamente e forse avrebbero pianto, di commozione o di stizza, se tanta gente meno celebre ma più fortunata di loro non li avesse infastiditi con la propria petulanza. Secondo Meazza, che non era molto tenero nei confronti dei suoi colleghi, mai al mondo si era vista ed ammirata un' ala sinistra della classe di Raimundo (Mumo) Orsi.”

E Peppino Meazza, forse, non esagerava.


Tratto da © www.postadelgufo.it by Francesco Parigi